L’ultima notte di Pasolini. Storia di un mistero italiano. Perché questo libro
Nell’ultima intervista rilasciata a Furio Colombo, Pasolini dice che “il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità”. Ecco, partiamo da questo concetto per parlare del suo omicidio.
In cinquant’anni se ne sono dette tante, alcune condivisibili, altre inaccettabili. Nel libro L’ultima notte di Pasolini. Storia di un mistero italiano (edito da Il Millimetro) ho voluto mettere in evidenza le ipotesi che presumo siano condivisibili. Questo proprio perché il complotto ci fa delirare e soprattutto ci libera dal peso della verità e io di questo peso non ho intenzione di liberarmi. Sì perché a volte la verità è pesante. Così ho messo insieme le ipotesi che in questi decenni si sono formate per avvicinarmi alla verità sul massacro dell’Idroscalo, verità che nonostante l’impegno di tanti, ancora non c’è, e soprattutto non c’è uno scenario chiaro e provato dalla giustizia; solo indizi, tipo “Io so”, l’articolo dello stesso Pasolini sulle stragi degli anni settanta.
Così analizzo quella notte. Pelosi detto “Pelosino” o “la Rana”, afferma di essere passato sul corpo dello scrittore con la macchina di Pasolini, per sbaglio, dopo essersi difeso da un tentativo di stupro. Ovviamente non è così: non c’è stato nessun tentativo di stupro e a passare sul corpo è stato qualcun altro, dopo averlo massacrato. Trascorrono trent’anni e la Rana cambia versione e tutti i sospetti iniziali, cioè che non erano soli all’Idroscalo, trovano ampie conferme. E chissà se in un’aula di tribunale troverebbero conferme anche le parole di Silvio Parrello, detto “Pecetto”, che ha trovato testimonianze che indicano nomi e cognomi dei responsabili di quell’inaudita violenza svelando retroscena proprio su quell’auto, o un’auto simile.
Sergio Citti dice di aver, diciamo, contrattato con la mala romana per riavere il materiale rubato del film che Pasolini stava girando. Anche in questo caso ci sono nomi e cognomi, gente viva e gente oramai morta. Anche lui non ha avuto soddisfazione dalla giustizia. E anche lui non c’è più.
Un dissidente russo invece ha visto una parte del massacro da casa sua; sì: ha visto. E lo ha detto, a un carabiniere. Il carabiniere però è sparito nel nulla, nessuno lo ha mai convocato e lui se ne è andato negli Stati Uniti dove insegna in un’università. E non ha alcuna intenzione di tornare a parlare di quella notte, anche perché nessuno lo sta cercando.
Ecco, quelli che sono indizi, come scriveva Pasolini nell’articolo “Cos’è questo golpe? Io so”, sarebbe ora di farli diventare prove e presentarli in un tribunale, sì per un processo, come “il processo alla Dc”, altro articolo di Pasolini, e avvalorarli o smentirli, senza rischiare di finire una notte di inizio novembre all’Idroscalo di Ostia per essere massacrati. Ci vogliono le prove, ci vuole la Commissione d’inchiesta, in corso di valutazione da parte del parlamento, e ci vuole coraggio, altrimenti “il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità”.
Di questo scrivo nel libro L’ultima notte di Pasolini. Storia di un mistero italiano dove ci sono le ipotesi di questi cinquant’anni e i ragionamenti di oggi, degli amici di Pasolini, dell’avvocato del cugino, di una senatrice e di due giornalisti. Nessun delirio, nessun complotto, ragionamenti e se proprio complotto deve essere che sia pure, ma con le prove.