“La strage continua”. Libro inchiesta sull’omicidio di Mino Pecorelli.

Ci sono uomini incastrati in periodi storici oscuri che muoiono in circostanze misteriose spesso senza un’apparente motivo e spesso uccisi. Omicidi non casuali, lo sanno in tanti, e i moventi a volte si trovano altre volte no. Ma quando si trovano è perché qualcuno li ha cercati con convinzione, ed è quello che ha fatto Raffaella Fanelli che ha fiutato una pista, l’ha seguita e ha scoperto elementi importanti raccontandoli poi ne “La strage continua, la vera storia dell’omicidio di Mino Pecorelli” (ed. Ponte alle Grazie).

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Pecorelli era un giornalista di razza, uno di quelli che non mollano mai, incastrato nella sua epoca fatta di ombre, convergenze parallele e massimi sistemi e quando fu ucciso alcuni apparati lo vollero far passare per un ricattatore, un giornalista in cerca di scoop per tornaconto personale, uno senza scrupoli, ma la verità è un’altra, la verità è che morì relativamente povero, cercando risposte scomode, molto scomode, osteggiato da più parti. E allora la faccenda diventa ancora più seria, per tutti noi, giornalisti e non, perché se un’indagine giornalistica viene fatta passare per un ricatto, delegittimata se non addirittura infamata, allora la democrazia muore e la verità è capovolta oppure cancellata.

Molisano, laureato in giurisprudenza, si appassionò al giornalismo d’inchiesta, passione che si rivelò però drammaticamente fatale. Fu ucciso il 20 marzo del 1979 a Roma in via Orazio vicino alla sede della sua agenzia di stampa Op, Osservatore politico, da poco diventata settimanale cartaceo. Aveva 51 anni.

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Nelle sue inchieste raccontava di terrorismo, eversione, mafia, attentati, e non si tirava indietro davanti a nomi eccellenti come quelli di Giulio Andreotti, Bettino Craxi, Licio Gelli, Junio Valerio Borghese passando per i vertici dei servizi segreti, della P2, di Gladio, del Vaticano, di alti prelati ma anche di personaggi oscuri, ma conosciuti, legati alla banda della Magliana, ai principali gruppi terroristici e a organizzazioni più o meno criminali.

Dentro tutto questo si muove oggi un’altra giornalista di razza incastrata nella sua epoca,  Raffaella Fanelli infatti ne “La strage continua” racconta verità scomode, ragiona su alcuni episodi, li unisce e fa luce, tra l’altro, su elementi fondamentali dell’omicidio di Pecorelli come la pistola calibro 7.65 che lo uccise, i bossoli “Gevelot” e “Fiocchi” dello stesso lotto in uso alla banda della Magliana e su rivelazioni del caso Moro e della strage di Bologna.

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E allora ecco che l’inchiesta della Fanelli entra nella redazione di Op ma con un prologo che troviamo nel suo libro precedente, “La verità del Freddo” (ed. Chiarelettere) l’intervista a Maurizio Abbatino, uno dei fondatori della banda della Magliana. Abbatino infatti parlando del caso Moro porta la Fanelli a verificare un verbale di interrogatorio di Vincenzo Vinciguerra, un fascista di Ordine Nuovo e Avanguardia nazionale nel quale c’è una rivelazione di non poco conto. Vinciguerra parlando con un altro neofascista, Adriano Tilgher, viene a sapere di un ricatto che un altro avanguardista Domenico Magnetta aveva minacciato di mettere in atto se non fosse stato aiutato a uscire dal carcere. Il ricatto consisteva nella consegna delle armi del gruppo alle autorità. Tra le armi c’era la pistola calibro 7.65 che aveva fatto fuoco quattro volte su Pecorelli colpendolo alla schiena e alla bocca in via Orazio. E Vincenzo Vinciguerra è ancora oggi considerato un teste attendibile, non è un pentito e non ha mai chiesto nulla.

Il saggio si concentra su movente e mandanti dell’omicidio, sui depistaggi di Stato e sull’eversione di destra spesso sottaciuta se non addirittura coperta proprio da apparati dello Stato paralleli, organizzazioni operative in quel periodo per fronteggiare il comunismo. Le pagine scorrono tra i retroscena del  piano “Solo” passando dallo scandalo Lockheed alla strage di Bologna e così via.

Il rapporto di Pecorelli con il potere era basato su un delicato equilibrio di relazioni, informazioni, fonti e notizie da pubblicare. Ma a qualcuno tutto questo non andava giù, qualcuno che si sentiva in pericolo a causa delle sue inchieste, altri invece probabilmente avevano interesse ad infangare la verità per compiacere un certo potere occulto che nelle pagine del libro prende corpo e si svela nei suoi infidi ingranaggi. Come scrive nella postfazione Stefano, il figlio di Pecorelli, “menzogne arrivate da giornalisti, alcuni dai nomi illustri, al soldo dei servizi segreti e loro stessi ingranaggio di una macchina del fango avviata, nelle ore successive, o forse precedenti, all’omicidio di papà, allo scopo di mettere una pietra tombale anche sulle sue inchieste. Che invece sono rimaste lì, a urlare”.

Il libro è in forma di dialogo tra Raffaella Fanelli e Fabio Camillacci, giornalista che nelle sue trasmissioni approfondisce le zone d’ombra dei casi storici della cronaca italiana e internazionale. Un testo fluido, chiaro, che ha portato l’Fnsi (la Federazione nazionale della stampa italiana) a costituirsi parte offesa nella nuova indagine aperta nel 2019 e alla sorella di Pecorelli, Rosita, a chiederne l’acquisizione negli atti d’indagine. Dunque, probabilmente, la verità è in questo libro che prende il titolo dalla bozza della copertina mai pubblicata del numero di Op trovata nella Citroen verde di Pecorelli. Sotto la testata infatti c’era scritto “La strage continua”, una strage che oggi solo la verità può fermare perché senza giustizia la memoria è inutile se non affiancata, appunto, dalla ricerca della verità. Solo così tutti noi, giornalisti e non, potremmo toglierci le catene che ci tengono incastrati alla nostra epoca, a quelle passate e a liberare il futuro perché come rivela la Fanelli, “Pecorelli quando fu ucciso guardò in faccia il suo assassino”. Ecco, nei suoi occhi c’era il nostro futuro, la nostra epoca, oggi.

Giovanni Lucifora

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