Gino Girolimoni, l’innocente

Le bambine e Matteotti

Era l’Italia fascista quella che di lì a breve inizierà a soffrire drammaticamente le conseguenze dell’indomito condottiero di Predappio tra corruzione, violenza, omicidi, come quello di Giacomo Matteotti e propaganda, tanta propaganda.

Il più efferato serial killer di tutti i tempi colpì proprio in quel periodo. Le sue vittime lo resero il Mostro più Mostro di tutti perché stuprò e seviziò almeno sette bambine che avevano tra i diciotto mesi e i sei anni. Quattro furono orrendamente uccise. Un serial killer pedofilo che all’epoca fu soprannominato il “Mostro di Roma”. 

Tra marzo e giugno del 1924 una bambina di quattro anni fu rapita in piazza Cavour e ritrovata a un paio di chilometri di distanza, ridotta in modo orribile ma viva. Una donna aveva visto un uomo di mezza età allontanarsi velocemente. Pericolo scampato fino a quando, due mesi dopo, Bianca Carlieri, soprannominata la Biocchetta, tre anni, non ce la fece. Fu seviziata e uccisa nella zona di san Paolo.

Il nascente regime fascista e la relativa propaganda non potevano permettere tutto questo, nonostante un’iniziale sottovalutazione. 

La città entrò nel panico, Mussolini convocò il capo della polizia Arturo Bocchini, la tensione salì ma subentrò prepotentemente un altro fatto grave: il rapimento e l’omicidio di Giacomo Matteotti, il deputato socialista che aveva denunciato violenze e intimidazioni in occasione delle elezioni vinte dal partito nazionale fascista.  

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L’attenzione dell’opinione pubblica allora si spostò sul caso Matteotti ma il 24 novembre una bambina di tre anni sparì a pochi metri dalla madre mentre giocava vicino al colonnato di san Pietro con la sorelle e altre bambine. Era Rosina Pelli. Il cadavere della piccola fu trovato il giorno dopo con evidenti segni di violenza sessuale nella zona di Monte Mario.

Il sadico pedofilo non vuole fermarsi e poco prima dell’estate del 1925 torna a colpire. Questa volta la sua vittima ha sei anni, si chiama Elsa Berni e il suo corpo viene trovato senza vita sull’argine del Tevere. La piccola è stata strangolata e violentata. Poco prima della scomparsa, alcuni testimoni affermarono di aver visto un uomo tentare di rapire un’altra bambina di nove anni, tra i vicoli del rione Borgo. Testimoni parlano di un uomo con i baffi, alto, sulla quarantina, indossava un cappello nero e portava gli occhiali.

La gente non si sente al sicuro e teme per i propri figli. La polizia indaga ma senza risultati. Tutti sospettano di tutti e il Duce incalza: “voglio che l’immondo bruto venga arrestato”, esige la testa del Mostro, a qualsiasi costo. E qualsiasi testa.

Le altre vittime

L’estate del 1925 purtroppo però non terminò senza un altro scempio. Vittima questa volta a fine agosto è Celeste Tagliaferri prelevata direttamente da casa tramite una finestra che si affaccia sulla strada. Celeste sarà ritrovata sulla Tuscolana, è ancora viva ma morirà poco dopo tra immani sofferenze. Aveva un anno e mezzo. 

Sgomento, disperazione e rabbia.

La gente era terrorizzata. Se un adulto si avvicinava a una bambina scattava la psicosi, i genitori chiusero i figli in casa e fuori ci si guardava con sospetto. 

Arrivò l’autunno poi l’inverno. L’incubo sembrò terminato ma nel febbraio del 1926 il Mostro tornò in azione. Tentò di rapire nei pressi di ponte Michelangelo, siamo sempre in centro, nella zona del Vaticano, Elvira Coletti di sei anni. La bambina riuscì a scappare.

Ancora rabbia, ancora dolore, altri testimoni, altre ipotesi. Trascorse un anno e si consumò l’ultimo strazio. 

Il 12 marzo, verso le otto di sera, da piazza del Fico, sempre in centro, sparì Armanda Leonardi, sarà ritrovata strangolata al Circo Massimo all’alba. Aveva sei anni.

Le indagini

La pazienza era finita, bisognava arrestare qualcuno. Gli investigatori effettuarono numerosi fermi e misero anche una taglia. Un vetturino accusato e poi rilasciato si suicidò. Stessa fine se la inflisse un sagrestano già considerato pedofilo del rione Borgo ma che con questa storia non c’entrava nulla. Scagionato dalle accuse, oramai la sua vita era stata macchiata e per la vergogna decise di impiccarsi.

La ricerca del Mostro diventò sempre più rabbiosa e al Duce servivano risultati da mostrare fino a quando, un paio di mesi dopo, secondo la polizia, arrivò la svolta. Una tredicenne denunciò di essere stata importunata da un uomo che corrispondeva vagamente agli identikit e la zona coincideva con quella degli altri casi. Siamo a inizio maggio del 1927. 

L’uomo ha 38 anni, abita vicino Castel sant’Angelo e vicino piazza san Pietro. Alcuni testimoni e un paio di vittime sopravvissute lo riconoscono. In casa vengono trovate fotografie, alcune con bambine in giro per la città, cioccolatini e caramelle utili per gli adescamenti e per di più è scapolo. Non ci sono dubbi, per gli investigatori quello è il Mostro di Roma. 

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Gino Girolimoni

(1889 – 1961)

Gino Girolimoni

Le cose però stavano in modo diverso.

La tredicenne che si chiamava Olga, è vero che era stata fermata da Gino, ma è anche vero che, essendo la serva di una donna che abitava di fronte al suo palazzo, le mire  di Gino, amante della bella vita e delle belle donne, erano rivolte a Cecilia, la sua padrona, e la cameriera era stata fermata per farle recapitare un messaggio.

Il marito di Cecilia, l’ingegner Pacciarini, a quel punto induce la piccola Olga a denunciare l’uomo e ingaggia un brigadiere dei carabinieri, Giovanni Giampaoli che svolge indagini approfondite. Giampaoli organizza vari appostamenti e il due maggio decide di arrestarlo. Ma il vero e proprio stillicidio pubblico inizia una settimana dopo quando su tutti i giornali compare il nome del Mostro di Roma, il pedofilo seriale, l’assassino e stupratore di bambine, nome e cognome: Gino Girolimoni.

Le prove

Venne rinchiuso a Regina Coeli e ripetutamente interrogato ma non mostrò mai il minimo cenno di cedimento. Le prove apparvero subito deboli: le foto che ritraevano le bambine in realtà erano foto in luoghi pubblici con tante persone tra cui famiglie. E Girolimoni era un fotografo professionista oltre ad occuparsi di mediazioni per infortuni sul lavoro.

Nel frattempo altri sospetti ricaddero su un pastore inglese della chiesa anglicana, il reverendo Ralph Lyonel Brydges che aveva molestato una ragazzina di sette anni a Capri. Era già conosciuto come pedofilo ma i legami tra la chiesa anglicana e il fascismo evidentemente non permisero di seguire seriamente questa pista. A rafforzare invece il debole impianto accusatorio su Girolimoni arrivò la testimonianza di un oste che riferì di averlo visto nella sua osteria con una bambina il giorno dell’omicidio della piccola Armanda Leonardi. I clienti presenti quella sera confermarono dicendo che era proprio in compagnia della piccola vittima. Centro! Il Duce esultò.

Sui giornali, non tutti ancora politicamente allineati, si leggeva unanimemente di Girolimoni che aveva “tratti del tipico degenerato, con gli occhi stranissimi, dal taglio quasi mongoloide, lo sguardo obliquo, falso, sfuggente”. Si sottolineava “che possiede ben dodici vestiti” ed è proprietario di una Peugeot con targa straniera.

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Giuseppe Dosi

A cercare seriamente la verità invece ci pensò Giuseppe Dosi, commissario di polizia, di intelligenza sopraffina, esperto e brillante investigatore che dopo la guerra rimase nella storia per la creazione dell’Interpol. Nonostante le pressioni che arrivavano dall’alto volle approfondire la personalità dell’anziano reverendo Ralph Lyonel Brydges.

Ralph Lyonel Brydges

Scoprì che in precedenza era stato denunciato per molestie su minori e dal  1922 al 1927 era stato il pastore di una chiesa anglicana proprio nel centro di Roma. Quando Dosi lo fermò lo trovò in possesso di appunti con riferimenti ad alcune vittime e fazzoletti con ricami di iniziali simili a quelli trovati vicino al corpicino di Rosina Pelli.

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Il reverendo Ralph Lyonel Brydges (1856 – 1946)

Girolimoni l’appellativo

Girolimoni intanto iniziava a diventare un appellativo e non più un cognome. La sua condanna l’aveva già ricevuta senza aver mai messo piede in un’aula di tribunale. Quel cognome, letto sui giornali e pronunciato a voce si trasformava in “pedofilo stupratore di bambine” e nel tempo fu usato (lo è in parte tuttora) come maschio adulto che sessualmente predilige frequentare ragazze giovani se non addirittura minorenni, ma questo lo si diceva spesso con tono divertito… 

Per Dosi però Girolimoni era innocente, chiaramente innocente ma oramai la propaganda aveva fatto il suo corso. Il regime ne era uscito vincente, il duce aveva potuto mostrare i muscoli manipolando la verità e il consenso ne aveva tratto ampi benefici, in pratica, il Mostro di Roma, per Mussolini fu un vero e proprio successo.

La stampa indicava Gino Girolimoni come un trasformista per non farsi riconoscere e i criminologi lombrosiani ne descrivevano i lineamenti definiti da chiare caratteristiche criminali.

Per Dosi invece c’erano altri aspetti da approfondire: quasi tutte le violenze erano avvenute nei rioni Borgo e Ponte, le testimonianze riferivano di un uomo con cappotto scuro, alto, per molti era elegante, forse di lingua inglese, per altri italiano, con i baffi e sui cinquant’anni. La sua attenzione però fu attirata da altro, dai reperti e notò che vicino al corpo di Rosina Pelli era stato trovato un piccolo asciugamano con il ricamo di due lettere: R. L. e accanto al corpo di Armanda Leonardi c’erano fogli stracciati di articoli religiosi in lingua inglese. Il commissario Dosi allora si concentrò su quei fogli stracciati e scoprì che facevano parte di un catalogo che a Roma era spedito in abbonamento a quattro persone, quattro cappellani anglicani e uno era proprio il pastore Ralph Lyonel Brydges.

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Il commissario Giuseppe Dosi

(1891 - 1981)

Le accuse al reverendo Brydges 

Per il commissario il caso del Mostro era diventata un’ossessione, una ragione di vita così  decise di comporre un memoriale dettagliato delle sue indagini. Sviluppò quarantatré prove che convergevano sul reverendo anglicano. 

Convinto del suo operato inoltrò il memoriale ai “piani alti” ma poco dopo il messaggio che tornò non lasciò dubbi a interpretazioni: trasferimento a Cortina d’Ampezzo. Il reverendo Brydges probabilmente apparteneva ad un mondo che frequentava i “piani alti”. Solo grazie alla sua testardaggine Dosi riuscì a tornare ad occuparsi del caso e proseguire la sua battaglia. Riuscì a far imputare il reverendo per violenza carnale e omicidio ma non bastò, le perizie psichiatriche attestarono che soffriva di demenza senile quindi il religioso deve essere ricoverato in un manicomio da dove però, poco dopo, fu dimesso in quanto riconosciuto non pericoloso. Insieme alla moglie lasciò l’Italia e il 23 ottobre del 1929 la Corte d’Appello di Roma lo prosciolse definitivamente. 

Dosi a quel punto scrisse un memoriale con gli errori investigativi e gli intralci che aveva incontrato e lo regalò agli amici. Il dossier però fu sequestrato dalla polizia ma Dosi aveva conservato alcune copie e decise di inviarne una direttamente a Mussolini. In quel momento per lui si spalancano le porte della pensione, a quarantasette anni. Il messaggio era fin troppo chiaro. 

In seguito Dosi fu arrestato per reati politici e internato anche lui al santa Maria della Pietà, lo stesso manicomio dove era finito il reverendo Brydges. Una volta libero, disoccupato, attese la guerra, si oppose al fascismo, salvò l’archivio di via Tasso e alla fine del conflitto mondiale fu reintegrato in polizia e ne divenne un fiore all’occhiello.

Il reverendo Brydges fu spedito in Canada e nel 1946 morì negli Stati Uniti, in Florida. Sulla sua presunta colpevolezza, in effetti, gli indizi a suo carico si scontravano con evidenti incongruenze come l’età descritta dai testimoni, massimo cinquanta’anni contro i settantina del pastore, ma anche gli spostamenti: Brydges non possedeva un mezzo di trasporto e andare in giro con una bambina, in quel periodo, in alcuni casi anche per molti chilometri senza essere notato, non sarebbe stato facile. E così anche l’impianto accusatorio nei confronti di Brydges non si rivelò convincente.

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La fine di Girolimoni

Intanto Girolimoni si era fatto undici mesi di carcere tra isolamento, interrogatori e titoli di giornali, tanti titoli che lo indicavano inequivocabilmente come il Mostro di Roma. L’8 marzo del 1928 però, vista l’inconsistenza delle prove a suo carico, fu scagionato con formula piena, anche il pubblico ministero ne chiese l’assoluzione. Rilasciato dalla polizia nessun giornalista lo cercò. Nessun commento, nessuna dichiarazione, piccoli trafiletti su pochi giornali e tanta solitudine. La sua colpa era quella di chiamarsi Girolimoni. 

Diventò povero, fece qualche lavoro saltuario, cercò di cambiare il cognome ma non ci riuscì e morì nel 1961. Al funerale organizzato da pochi amici nella basilica di San Lorenzo fuori le mura c’era anche il commissario Giuseppe Dosi.

Non si è mai saputo il nome del Mostro di Roma o i nomi dei Mostri dato che potrebbero essere stati più di uno. Rimangono però le piccole vittime, terribilmente violentate, una città sconvolta, un paio di suicidi e un uomo, Girolimoni, che non è un appellativo ma un cognome come tanti ma che a Roma oramai è praticamente scomparso.

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