Il caso Bebawi

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Quando la realtà supera la fantasia. Il “caso Bebawi” potrebbe essere il titolo di un film di Alfred Hitchcock o di un giallo di Michael Connelly, invece si tratta di una vicenda reale.

Tutto ha inizio il 18 gennaio del 1964 quando viene ritrovato il corpo senza vita di un ricco industriale egiziano, Faruk Chourbagi, nel suo studio in una traversa di via Veneto a Roma. Sono le nove e a trovare il cadavere è la sua segretaria. La vittima è stata uccisa con quattro colpi d'arma da fuoco sparati da una calibro 7,65. Il viso è completamente sfigurato dal vetriolo.

Le indagini si concentrano sulla cerchia di amicizie dell'industriale, tra l’atro noto playboy, in particolare su una coppia egiziana che il giorno dell’omicidio si trova a Roma, Youssef e Claire Bebawi. Il soggiorno lampo dei coniugi insospettisce gli investigatori che vengono fermati due mesi dopo ad Atene. Si scopre che Claire è stata l'amante della vittima per tre anni.

I due finiscono sotto processo. Un processo che appassiona morbosamente l'opinione pubblica con continui colpi di scena, lacrime, svenimenti, accuse e controaccuse. Gli imputati infatti si incolpano reciprocamente. A gestire la scena sono due principi del foro, Giovanni Leone che di lì a poco diventerà  Presidente della Repubblica, difensore di Claire, e Giuliano Vassalli futuro Ministro di Grazia e Giustizia nonché padre del nuovo Codice Processuale Penale, legale di Youssef.

150 udienze, più di 100 testimoni e 32 ore di camera di consiglio per un duplice verdetto di assoluzione. L'accusarsi a vicenda infatti diventa la loro salvezza. I giudici sono sicuri che ad uccidere Chourbagi è stato uno dei coniugi ma nel dubbio decidono per l’assoluzione. Meglio un colpevole assolto, che un innocente condannato. Memorabile al riguardo l'arringa di Leone: "E' impossibile condannare senza prove due imputati che si rinfacciano reciprocamente lo stesso reato".

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Nel 1968, in appello, i coniugi Bebawi invece vengono condannati entrambi a 22 anni per responsabilità materiale lui, per concorso morale lei ma ormai sono lontani, all'estero, liberi, anche se ognuno per la propria strada.

Dunque accusarsi reciprocamente è la loro arma vincente. Ci si chiede però se è possibile che abbiano premeditato tutto ciò. Se la risposta è affermativa dobbiamo ammettere che il delitto perfetto esiste davvero. Se ci atteniamo ai fatti invece notiamo le solite lacune investigative: non vengono effettuate le impronte digitali, non viene trovata l'arma del delitto, così come il soprabito di Claire è svanito nel nulla. E allora è il caso di concludere con la solita frase: non esistono delitti perfetti, ma solo investigazioni imperfette.

Massimo Lippolis

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