Omicidio via Poma, 30 anni dopo ancora troppe Zone d’Ombra.

Simonetta Cesaroni

Simonetta Cesaroni

1^ parte (Da via Serafini a via Poma)

Un omicidio strano, ancora oggi inspiegabile. Lei, Giuseppa detta Pina, all’epoca aveva un solo desiderio, che tutto finisse in fretta. Il marito, Pietrino, con i suoi ‘occhi di ghiaccio’ fece i bagagli, caricò la macchina e assieme alla moglie tornò a Monacizzo in provincia di Taranto. Lontano da quella storia, da quel pomeriggio del 7 agosto del 1990, dai fantasmi tornati dal passato che all’improvviso stavano chiedendo il conto. “Sono innocente” ripeteva ‘occhi di ghiaccio’ agli inquirenti, eppure un mesetto di carcere se lo fece. Poi, senza chiedere scusa, gli inquirenti lo salutarono e lo liberarono. Un errore giudiziario. Pietrino Vanacore si è suicidato nel marzo del 2010 alla vigilia della sua deposizione nel processo a carico di Raniero Busco. E sì perché a distanza di 20 anni uscì fuori un altro indagato. Un altro presunto colpevole. Raniero Busco, 44 anni, lavorava all’aeroporto di Fiumicino, era il fidanzato di Simonetta. Oggi Raniero è sposato, ha due figli e fu accusato dell’omicidio soprattutto, ma non solo, per una caratteristica fisica: l’arcata dentaria. Busco, dopo tre gradi di giudizio però, nel 2014 venne definitivamente assolto.

Ma facciamo un passo indietro, anzi, facciamone tanti e torniamo a quel pomeriggio del 7 agosto 1990. E’ martedì. Fa caldo, c’è molta afa a Roma e il cielo è pure coperto; Simonetta esce di casa con un ombrellino, dovesse piovere, non si sa mai. La sua auto, una 126, ha dei problemi e quel giorno deve essere portata dal meccanico, quindi da via Serafini dove abita, zona Tuscolano, quartiere della periferia romana, raggiungerà in metropolitana via Poma, quartiere Della Vittoria, zona centro. Alla fermata Subagusta ci arriva grazie a un passaggio della sorella Paola. Stop; ancora un passo indietro. Cosa deve fare in via Poma Simonetta Cesaroni? Il 7 agosto? Il giorno prima della partenza per le vacanze?

Dopo il diploma in ragioneria, dattilografa analista contabile, all’inizio del ’90 aveva trovato lavoro in uno studio commerciale in via Maggi, 109 alla Reli sas, gestito da Ermanno Bizzocchi e Salvatore Volponi. Simonetta lavora 3 giorni a settimana, lunedì, mercoledì e venerdì dalle 9 alle 12 e dalle 16 alle 19,30. Tra i clienti dell’ufficio c’è l’A.I.A.G., Associazione Italiana Alberghi della Gioventù. La sede regionale si trova in via Poma 2. Il presidente, all’epoca, era Francesco Caracciolo di Sarno.

Agosto 1990. Via Poma 2

Agosto 1990. Via Poma 2

L’A.I.A.G. ha bisogno di una persona per l’inserimento dei dati nel computer in quanto il dipendente che se ne occupava ha trovato lavoro da un’altra parte. Volponi propone la ragazza a Caracciolo. Simonetta è sveglia e affidabile così due pomeriggi a settimana, a partire da luglio, si reca in via Poma, il martedì e il giovedì. Sembra sia stato proprio il presidente dell’A.I.A.G. a insistere affinché la ragazza lavorasse il pomeriggio, questo secondo le dichiarazioni messe a verbale da una dipendente dell’A.I.A.G. Anita Baldi, davanti ai p.m. Ilaria Calò e Roberto Cavallone.

Dunque torniamo al 7 agosto. Simonetta, dopo il passaggio in macchina con la sorella, scende nella metropolitana di Subagusta. Da questo momento possiamo solo basarci su ipotesi investigative. In effetti, se è vero, come è vero, che Simonetta è giunta alla fermata della metro, non possiamo essere certi che sia salita su un vagone della metro. Unico, e ultimo elemento certo, è che Simonetta è arrivata in via Poma. Come? Da sola? E’ scesa in qualche fermata intermedia prima di arrivare a Lepanto, la fermata più vicina a via Poma? Ha incontrato qualcuno? Aveva appuntamento con qualcuno?

Pochi giorni prima, sulla spiaggia di Tor San Lorenzo, Simonetta conosce un giovane. Simonetta è fidanzata con Raniero, un rapporto sul quale ci soffermeremo fra poco. Il ragazzo conosciuto al mare viene ascoltato dagli inquirenti e subito rilasciato.

Pietrino Vanacore e la moglie Giuseppa De Luca

Pietrino Vanacore e la moglie Giuseppa De Luca

Simonetta dunque esce di casa alle 14,30 circa, arriva alla fermata della metro Subagusta alle 15 e saluta la sorella. Ora proseguiamo con dati logici ma non provati. Ammettiamo che abbia preso il primo trenino alle 15. Fino alla fermata Lepanto si impiegano 40 minuti e per arrivare a piedi in via Poma altri 10 minuti. Non sono ancora le 16. Entra nel civico 2, i portieri sono attorno alla vasca del giardino ma nessuno si accorge della ragazza. Secondo le loro testimonianze non sarebbe entrato nessuno a quell’ora. Nessuno. E già perché Simonetta potrebbe essere entrata anche in compagnia di qualcuno ma nessuno si accorge di nulla. La vasca-fontana attorno alla quale si trovano i portieri dista una quindicina di metri dall’ingresso del condominio e dal portone del palazzo. Ci sono alberi e piante che rendono difficile la visuale. Certo, la visuale, ma i passi solitari in un caldo pomeriggio estivo non si sentono? Evidentemente no.

Nel gruppo dei portieri però manca Pietrino Vanacore, per questo viene indagato. Ce ne occuperemo in seguito. Simonetta entra al civico 2, percorre una decina di metri, a destra c’è il portone. Sale al terzo piano e apre la porta dell’A.I.A.G. con le chiavi che le ha dato Volponi. Adesso è all’interno dell’ufficio.

Interno uffici A.I.A.G.

Interno uffici A.I.A.G.

2^ parte (L’ora della morte, Federico Valle, Pietrino Vanacore)

Secondo le perizie Simonetta Cesaroni è morta tra le 17,35 e le 18,20. Ma come si arriva a questa ipotesi?

La ragazza alle 18,20 deve telefonare al suo datore di lavoro Salvatore Volponi, per aggiornarlo sulle pratiche che sta svolgendo. In realtà non lo farà mai. Secondo la mamma, Anna Di Giambattista, la figlia era molto puntuale ma soprattutto avvisava sempre in caso di ritardo.

Alle 17,15 Simonetta telefona a una collega, Luigia Berrettini, in quanto non ricorda una password per l’accesso ad alcuni file. La Berrettini le dice che si informerà e la richiamerà a breve. Riattaccano. Nel frattempo Luigia chiama un’altra collega, Anita Baldi. Dopo poco più di mezz’ora la Berrettini richiama l’ufficio di via Poma e fornisce la parola chiave a Simonetta che così può proseguire il suo lavoro.

Qui troviamo una delle tante Zone d’Ombra della vicenda. Sembra infatti che Simonetta conoscesse meglio Anita Baldi che Luigia Berrettini, allora perché non chiamarla direttamente? La Berrettini infatti non conosceva personalmente Simonetta quindi come si può affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che fosse proprio Simonetta al telefono? Questo è un dato fondamentale nell’inchiesta perché l’ora della morte si basa unicamente su queste telefonate. C’è da aggiungere che per risalire all’ora del decesso bisogna prendere la temperatura corporea e compararla con quella del luogo tramite determinati calcoli, operazione che però, in questa drammatica vicenda non è stata effettuata. Dunque Simonetta è morta tra le 17,35 (telefonata della Berrettini) e le 18,20 (telefonata, mai avvenuta, a Volponi).

Altri dati però lasciano perplessi. Uno di questi, non riportato nei verbali, riguarda una frase dell’ingegnere Cesare Valle, l’anziano 88enne (oggi deceduto) che abitava ai piani alti del palazzo che ospitava l’A.I.A.G. Cesare Valle è anche colui che ha progettato i 6 palazzi del condominio di via Poma (i civici 2 e 4). L’uomo sembra avesse sentito dei lamenti “come di una bambina che piagniucola” in quel pomeriggio del 7 agosto, fatto che vista l’età di Cesare Valle “poteva essere accaduto anche nei giorni precedenti”. E il nome di Valle ci riporta (non in ordine cronologico) al terzo indiziato: Federico Valle.

Federico Valle

Federico Valle

Qui le cose si complicano ulteriormente. Un austriaco, Roland Voeller, nel marzo del ’92 afferma di sapere chi ha ucciso la ragazza. Dichiara che nel maggio del ’90, accidentalmente, conosce la mamma di Federico, Giuliana Ferrara. La donna è l’ex moglie di Raniero Valle, papà di Federico. Durante una telefonata Voeller, a causa di un’interferenza, si ritrova a parlare con Giuliana. I due diventano amici.

Il 7 agosto, giorno dell’omicidio, la donna avrebbe riferito all’austriaco che il figlio, Federico, è tornato a casa tardi, stravolto e con un taglio alla mano. Il ragazzo era andato a trovare il nonno Cesare. Immediatamente indagato, l’ipotesi accusatoria vuole che Federico, sofferente per la separazione dei genitori, vedrebbe in Simonetta una persona da punire in quanto, sempre secondo l’accusa, il papà Raniero aveva una relazione con lei. Raniero però dichiara di non aver mai conosciuto Simonetta. Giuliana intanto smentisce Voeller e dice di non avergli parlato il 7 agosto. Inoltre Federico ha un alibi: è stato tutto il giorno a casa, debilitato dal caldo in quanto anoressico. Inoltre nasce il sospetto che Roland Voeller sia un informatore dei servizi segreti. Il suo nome infatti era già comparso nell’inchiesta sulla morte della contessa Alberica Filo della Torre all’Olgiata, zona residenziale alle porte di Roma. E se citiamo i servizi segreti bisogna ricordare che il condominio di via Poma, secondo testimonianze non riscontrate ufficialmente, sarebbe stato un luogo legato al Sisde. Complotti? Fantasie? Voglia di deviare l’attenzione? Da cosa? Perché?

Se nella prima ipotesi accusatoria a uccidere Simonetta è stato Pietrino Vanacore, nella seconda, con il coinvolgimento di Federico Valle, il portiere avrebbe avuto un ruolo minore, ovvero di colui, insieme a chissà chi, che si sarebbe interessato della pulizia del sangue e di altre tracce. Vien da sé che tutto questo decade a causa dell’evidente mancanza di prove. Si tratta di ipotesi, solo ipotesi. Ognuno può avere un parere ma nessuno può condannare in mancanza di prove certe. Dunque, ancora una volta il denominatore comune è Pietrino Vanacore.

Erano 4 i portieri del condominio di via Poma. Assieme ai familiari, come detto in precedenza, dalle 16 di quel 7 agosto, dopo aver aperto i portoni, si trovavano attorno alla vasca-fontana al centro del giardino. Mancava solo lui, Pietrino. Dov’era? Il portiere afferma e dimostra grazie a uno scontrino che alle 17,25 è andato al ferramenta ad acquistare un frullino (o un seghetto circolare). Vanacore all’inizio viene indagato perché sui suoi pantaloni c’è una macchiolina di sangue. Questa traccia ematica però risulterà appartenere allo stesso Vanacore che da anni soffriva di emorroidi e per tre giorni non aveva cambiato i pantaloni.

Il problema è che alle 22,30 il portiere dichiara di essere salito dall’ingegner Valle. Lo stesso ingegnere afferma però che Vanacore è arrivato alle 23. Forse l’ingegner Valle è confuso ma se così non fosse che cosa ha fatto Vanacore in quella mezz’ora?

26 i giorni in carcere per l’ex portiere. Qualcuno azzarda anche il fatto che la figlia di Vanacore, all’età di 16 anni  sarebbe andata via di casa perché il padre le riservava attenzioni particolari. Nulla di provato, illazioni e tutto molto vago.

Raniero Busco

Raniero Busco

3^ parte (Le indagini, Raniero Busco, le accuse)

Le indagini sin dai primi momenti sembrano confuse. E’ il 1990 e in Italia ancora non c’è la logica del cosiddetto ‘congelamento della scena del crimine’ ovvero l’isolamento del luogo nel quale è avvenuto l’omicidio esclusi gli specialisti delle forze dell’ordine. Nell’ufficio dell’A.I.AG. entrano tante persone, troppe. Tracce e indizi vengono ‘inquinati’ a tal punto che il famoso foglietto con la scritta ‘Ce dead OK’ sembra essere la firma lasciata dall’assassino; in realtà è uno scarabocchio lasciato da un agente. Inoltre, e questa è una vera e propria assurdità anche all’epoca, il computer sul quale lavorava Simonetta quel giorno sarebbe stato spento accidentalmente durante il sopralluogo da un altro poliziotto rendendo così difficili le perizie. Ma non solo. Il 7 agosto 1990, a differenza di quanto sempre affermato, qualcuno ipotizza che nel palazzo non c’era solo l’ingegner Cesare Valle. Allora chi si aggirava tra le scale, l’ascensore e i pianerottoli? E’ bene sottolineare che la maggior parte delle risposte alle domande che stiamo ponendo possono dare un aiuto decisivo alle indagini. E sono domande che ancora oggi potrebbero trovare riscontri. Ad esempio, perché sugli indumenti di Simonetta non sono state effettuate perizie prima del 2004? In fondo si trovavano dove dovevano trovarsi, ovvero al tribunale di Roma.

Autinno 2004: vengono sottoposti ad analisi il fermacapelli, l’orologio, l’ombrello, i calzini, il corpetto, il reggiseno e la borsa di Simonetta Cesaroni; in aggiunta un tagliacarte dell'ufficio (la probabile arma del delitto), il quadro e il tavolo della stanza in cui avvenne il delitto; più ancora un vetro dell’ascensore della scala B, trovato sporco di sangue nel 1990. Solamente il corpetto e il reggiseno della Cesaroni daranno un risultato utile: un DNA di sesso maschile, sotto forma di tracce di saliva. E’ di  Raniero Busco. Busco la notte tra il 7 e l’8 agosto viene interrogato in Questura ma anche qui c’è un grosso problema: nonostante le ore trascorse a difendersi, il verbale che alla fine verrà trascritto sarà di una sola paginetta.

L’alibi di Raniero Busco: poco dopo le 15 è alle prese con la Panda usata acquistata dal fratello Paolo. Si trova in un’officina vicino casa, a vicolo Anagnino nella zona di Morena. Un conoscente lo vede alle 15.15. Lo avrebbero visto anche altri vicini. Sembra che alle 18.40 lo abbia salutato anche un’amica che poi è salita a casa a parlare con la madre di Raniero. Qui però c’è un’altra Zona d’Ombra. Nel verificare l’alibi, i p.m. Cavallone e Calò, dopo la riapertura dell’indagine, scoprono una discrepanza. Raniero dice di aver incontrato l’amico Simone Palombi che però, sin dall’8 agosto, aveva dichiarato che quel giorno era andato a Frosinone dalla zia morente. In effetti la data del certificato di morte dell’anziana zia conferma le dichiarazioni di Simone Palombi che rientra a Roma dopo le 19 e solo tre quarti d’ora dopo vede Raniero al bar dei Portici. Alle 20 poi Raniero va a lavorare all’aeroporto.

Ad inchiodare momentaneamente l’ex fidanzato di Simonetta sono però le tracce di saliva riscontrate sul corpetto della ragazza e il morso sul seno sinistro. Secondo le perizie l’arcata dentaria di quel morso ricondurrebbe proprio a Raniero. In realtà appare logico che ci siano tracce sugli indumenti tra fidanzati e il morso potrebbe non essere un morso. E tutto è stato analizzato con eccessivo ritardo.

Infine c’è un ampio capitolo sulle tracce di sangue trovate negli uffici dell’A.I.A.G., sangue di Simonetta e molto probabilmente dell’assassino (o degli assassini). Tracce oggi inutilizzabili, o forse sì, in fondo le tecniche investigative sono decisamente migliorate da quel lontano, cupo e afoso agosto del 1990.

4^ parte (Alcune domande)

Ci sono però altre domande che al momento hanno avuto solo risposte sommarie, vaghe ma non ancora suffragate da prove. Alcune risposte invece possono essere considerate verità processuali da rispettare ma sulle quali varrebbe la pena ragionarci ancora un po’.

A che ora è morta Simonetta Cesaroni?

Qual è il movente?

E’ vero che un’inquilina del palazzo di via Serafini (domicilio di Simonetta Cesaroni) avrebbe dichiarato di aver visto la ragazza in ascensore il 7 agosto verso le 15,45?

C’era un collegamento tra l’ufficio di via Poma 2 e i servizi segreti?

Pietrino Vanacore ha avuto un ruolo nella vicenda?

Di chi sono le tracce ematiche riscontrate sulla porta della stanza dove è stato ritrovato il corpo?

Chi era presente nel palazzo quel giorno?

Salvatore Volponi ha incontrato Simonetta il 7 agosto? Ed era mai stato in via Poma?

Chi era l’uomo visto da Giuseppa De Luca (moglie di Pietrino Vanacore) uscire dal palazzo verso le 18 con un fagotto sotto braccio?

Pista del Videotel. Simonetta chattava con il nick ‘Veronica’?

Con chi ha parlato al telefono Simonetta prima di uscire di casa e andare in via Poma?

Nel tragitto ha incontrato qualcuno?

E infine, cosa dire dell’agendina rossa ‘Lavazza’ di Vanacore trovata sulla scena del crimine?

simonetta-cesaroni.jpg
Indietro
Indietro

Il caso Bebawi

Avanti
Avanti

Eleonora Scroppo. Un cold case che nessuno riaprirà.