Il Canaro della Magliana

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32 anni, sardo, fisico minuto, sposato e legatissimo alla figlia. Gestisce una toeletta.

(foto dal film Dogman)

"So’ stato io... gli ho sciacquato il cervello con lo shampoo dei cani, a quell'infame.

Gli ho amputato le dita poi gli ho tagliato le orecchie, il naso, i genitali. Gli ho detto: adesso non sei più neanche un uomo. Lui è svenuto, io ho bruciato le ferite con la benzina per fermare il sangue e l'ho fatto rinvenire. Parlava troppo, continuava a insultarmi così gli ho tagliato la lingua. Ma non voleva saperne di morire, quell'infame. Alla fine gli ho sfondato la testa e lavato il cervello…"

Storie come quella del ‘Canaro della Magliana’ (al secolo Pietro De Negri) evocano in noi inquietanti istinti repressi; istinti violenti soprattutto quando la vittima, docile e mansueta, diventa carnefice del suo violento oppressore (Giancarlo Ricci).

Siamo a Roma alla fine degli anni 80, precisamente il 18 febbraio 1988. Lo scenario è un agglomerato urbano di periferia, la Magliana. Quartiere degradato costruito grazie alla speculazione edilizia a ridosso ma soprattutto sotto il livello del Tevere.

Il ‘Canaro’ ha 32 anni, è sardo, fisico minuto, sposato e legatissimo alla figlia di otto anni. Gestisce una toeletta per animali. Adora i cani e lavora con passione. Gli piace sniffare coca.

Giancarlo Ricci invece è un delinquente di quartiere. Pregiudicato, violento, ex pugile, vive rapinando e picchiando. Un bulletto. E’ legato alla mafia siciliana. La madre gli ha trovato un lavoro alla nettezza urbana. Ha 27 anni e anche lui sniffa cocaina.

A procurare la polvere ci pensa Pietro così quando l’ex pugile non ha soldi lo va a trovare e si prende la coca anche con la forza, aggiungendo gratuitamente calci e pugni.

No. Questa però non è una storia di droga è una vicenda inquietante e macabra. Il delitto del ‘Canaro’ è infatti è ancora considerato uno degli omicidio più efferati conosciuto dalla cronaca italiana.

La follia criminale nasce quando De Negri inizia a sentirsi schiavo di un uomo che considera amico; il problema però è che solo lui considera così quel rapporto; l’ex pugile infatti continua a tormentarlo con estrema violenza e troppa sicurezza, quella sicurezza che rende inerme Pietro, che altro non può fare che subire.

Quel giovedì Pietro attira Giancarlo nel suo negozio; gli dice che è in arrivo un etto di cocaina e che sarà consegnata di lì a poco. E’ sicuro di se ed espone il suo piano: quando il corriere arriverà, Giancarlo deve irrompere all’improvviso e simulare una rapina; deve picchiare sia lui che l’emissario e darsela a gambe. Giancarlo ci pensa po’ e accetta, in fondo è pane per i suoi denti e per il suo affamato sadismo.

E qui scatta la trappola, una trappola che lo renderà vittima di una terribile vendetta. Una vendetta senza precedenti perché omicidi con mutilazioni ce ne sono state ma mai in quel modo e con la vittima in vita ad assistere allo scempio del proprio corpo.

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Prima di dare il via al piano però l’ex pugile deve nascondersi. De Negri, con un sorriso compiaciuto, consiglia all’amico di infilarsi in una gabbia per cani. L’ex pugile senza esitare si rannicchia nella gabbia e solo un secondo dopo, quando sente scattare i lucchetti, capisce, è in trappola ma oramai è troppo tardi. E’ l’inizio della mattanza.

I primi istanti sono quelli che fanno salire ancor di più la rabbia a Pietro De Negri. Giancarlo infatti inizia a dimenarsi, a urlare, a minacciare. Troppa confusione. Il Canaro all’improvviso alza il volume dello stereo mentre Giancarlo tenta di forzare la sua piccola prigione e inizia a mettere la testa fuori; a quel punto una scarica di bastonate lo investe. Una furia inarrestabile fino a quando sviene.

De Negri ne approfitta e lo tira fuori dalla gabbia per poi legarlo alle catene con le quali tiene fermi i suoi adorati cani mentre li lava. Il ‘grande uomo’ adesso è inerme pensa. Ci vuole un’altra tiratina di coca perché è il momento di iniziare...

Si arma di cesoie, afferra il pollice e lo trancia, stessa fine fanno l’altro pollice e gli indici. Posa le 4 dita su un bancone. Ricci rinviene dal dolore urlando.

Il  Canaro è nuovamente infastidito da quelle grida ma la musica a tutto volume le copre; piuttosto adesso è indispensabile bloccare l’uscita di sangue. Prende della benzina, la cosparge sulle ferite e da fuoco per cauterizzarle. Il dolore è percepibile e orrendo. Intanto il carnefice si fa un’altra tiratina di coca. Dopodiché torna dall’amico e lo schernisce: “ma come ti hanno conciato male! E chi è stato questo figlio di buona donna?”

Giancarlo però non frena gli insulti tra le urla di dolore e la rabbia per essere caduto in quel tranello. Ma le forze oramai sono allo stremo.

Il Canaro è stufo di ascoltare ancora quelle minacce. Approfittando di un altro momento di svenimento dell’ex pugile afferra le forbici e gli taglia la lingua, Il macabro reperto poi raggiunge gli altri sul bancone. Ricci torna in sé ma questa volta non può più urlare.

Non c’è più bisogno della musica, è il momento di prendere aria. Giancarlo adesso non è più un pericolo così Pietro esce dal negozio e raggiunge Fabio un amico di Ricci che lo sta aspettando lì vicino. Alcuni giorni prima Ricci e Fabio, altro delinquentello tossicodipendente, gli avevano rubato lo stereo.

In seguito Fabio dichiarò: “Rimasi in macchina per un’ora e dieci. A un certo punto uscì Pietro e mi chiese se stessi aspettando Giancarlo, poi mi disse che rivoleva lo stereo”. Dopo altri dieci minuti De Negri torna e comunica a Fabio che Giancarlo dopo la rapina è fuggito. Gli consegna le chiavi della macchina dicendogli di portarla a casa.

Torna nel negozio e la mattanza prosegue. Dopo aver schernito di nuovo la vittima gli recide la punta del naso, le orecchie e parte delle labbra. L’euforia aumenta davanti a quei reperti riuniti davanti a lui.

Altra sniffata, altro scempio. E questa volta a essere tagliati sono i genitali.

“A Giancà, grande e grosso come sei, non sei nemmeno un maschio. Adesso sei una femminuccia!”

Infierisce sulle ferite e le cauterizza tutte. Ricci sta morendo ma nonostante l’accanimento non muore. E’ ancora vivo!

A quel punto il carnefice si concede una pausa. Va a prendere la figlia a scuole.

Da poco De Negri ha lasciato il tetto coniugale e vive nel negozio. Dopo aver portato la piccola a casa torna alla toeletta. Sniffa. Il granduomo sembra respiri ancora. Decide di mettere la parola fine. Prende i ‘reperti’ e li infila nella bocca, negli occhi e nell’ano del pugile. Poi l’ultimo atto, con un martello e lo shampoo. Lo descrive lui stesso ai giudici: “Alla fine gli ho sfondato la testa e lavato il cervello…"

Il corpo carbonizzato di Giancarlo Ricci sarà trovato da un pastore la mattina alle otto in una discarica non lontano dalla Magliana.

Secondo la ricostruzione dei fatti la tortura iniziò alle tre e terminò alle dieci. In queste ore, come affermato dallo stesso carnefice, la vittima era viva.

Il 20 febbraio Pietro De Negri finisce in carcere. Fondamentale la testimonianza di Fabio, il delinquentello tossicodipendente, agli investigatori: "L’ultima volta che ho visto Giancarlo è stato ieri pomeriggio: l’ho accompagnato ad un appuntamento in un negozio di toelette per cani, in via della Magliana 253. Poi non l’ho più visto".

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A sinistra Pietro De Negri. A destra Giancarlo Ricci

Il 12 maggio 1989 Giancarlo Ricci viene scarcerato grazie a una perizia che lo ritiene psicologicamente infermo nel momento del delitto a causa dell’abuso di cocaina, ma non socialmente pericoloso. In carcere si era disintossicato quindi non rappresentava più una minaccia. Può scontare la pena in un ospedale psichiatrico. L’opinione pubblica però rifiuta quel verdetto e torna dietro le sbarre dopo altre perizie e altre accuse. La sentenza definitiva è di 24 anni di carcere ma dopo 16 anni viene nuovamente scarcerato per buona condotta. Torna in libertà il 27 ottobre 2005. Sarà affidato ai servizi sociali e farà il fattorino in uno studio legale.

Su questo efferato omicidio però aleggiano varie Zone d’Ombra. Per l’anatomopatologo Giovanni Arcudi che ha analizzato le mutilazioni, sulle ferite non c’era liquido infiammabile, ma soprattutto appare strano come un uomo esile come De Negri possa avere avuto la meglio su un pugile. Per questo c’è chi ipotizza un coinvolgimento di altre persone. E Ricci aveva ricevuto delle minacce di morte forse proprio da affiliati alla mafia… inoltre c’è il sospetto che De Negri abbia amplificato il suo racconto davanti agli inquirenti.

Restano comunque impresse alcune sue dichiarazioni: “Non ho rimorsi. Il Vangelo dice di non fare agli altri quello che non vorresti sia fatto a te. Io a quello gli ho fatto le cose che lui faceva agli altri. Scippava le vecchiette? Se non le faceva pure cadere non era contento”.

Pietro De Negri giustifica il suo crimine attribuendolo a un atto di giustizia e non alla sete di vendetta, “vorrei che la gente capisse ciò che mi ha spinto ad ammazzare” aggiungendo un ultima frase, una richiesta: “per favore. Dimenticatemi…”

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